La sicurezza stradale è da tempo un problema per il nostro Paese. La stretta del Governo col nuovo codice della strada (in vigore da sabato 14 dicembre) sembra però lasciare aperte alcune questioni che riguardano bici e ciclisti. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Federico Balconi, fondatore di un’associazione di promozione sociale che ha alla base tre pilastri: difendere i ciclisti in caso di incidente, garantire la sicurezza stradale e promuovere la filosofia dello sport.
Avvocato prima di venire al nuovo codice della strada vorrei partire dalla multa comminata a inizio dicembre dai carabinieri ai due ex professionisti Domenico Pozzovivo e Diego Ulissi, rei di circolare in doppia fila mentre pedalavano tra Colico e Gravedona sul lago di Como. Lei ha dichiarato che non avrebbe pagato la multa.
“Assolutamente sì. Per due motivi. Il primo è che un mio diritto. Se non condivido quella sanzione, ho il diritto di contestarla e posso chiedere di farmela spedire a casa. Il secondo è che se la pago non la posso più contestare o impugnare. E di conseguenza perderei il ricorso davanti al giudice di pace. Perché il ricorso diventa inammissibile”.
Pozzovivo ha detto: “Continuerò ad andare in bici in coppia perché mi rende più visibile e riduce le possibilità di incidente, meglio pagare la multa che rischiare di essere investito”
“Questa è una cosa che portiamo avanti dall’inizio, dalla nascita di ZEROSBATTI nel 2017 e che non smetteremo di fare nostra. Andare in fila per due come si fa in Spagna, Belgio e Olanda è molto più sicuro. Più sicuro per tutti. Per tre motivi.
Il primo è che ci rende più 'ingombranti all’occhio' e quindi più visibili. Abbiamo tantissimi verbali dove si legge che l’automobilista 'non ha visto' il ciclista. Prendiamo l’esempio di quattro corridori in fila per due: simulano la grandezza di una macchina. Veniamo quindi al secondo motivo: l’automobilista per forza di cose si vede costretto a rallentare, perché per superarli deve controllare che nel senso di marcia opposto la corsia sia libera per completare la manovra. Il terzo è che per superare quattro ciclisti a coppie si impiega meno tempo rispetto a quattro in fila indiana”
La fila indiana è una peculiarità quasi italiana:
“La grande differenza rispetto agli altri Paesi è che in Italia la fila indiana in bici è obbligatoria, negli altri Paesi no. E' una noma che non vogliono proprio togliere. In Italia si può andare in coppia solo all’interno dei centri urbani”
Come nasce ZEROSBATTI e a chi si rivolge?
“Nasce da due esigenze: la prima è garantire la sicurezza ai ciclisti. Perché abbiamo capito per esperienza diretta che i ciclisti non si sentivano sicuri sulle
strade e abbiamo deciso di dare voce a questo sentimento. Il secondo motivo è prettamente giuridico. Perché spesso in caso di incidente non c’è un risarcimento senza tutela immediata. Il ciclista solitamente 'subisce l’incidente
da solo. Apre una pratica senza sapere bene cosa fare. Di fatto non c’è una scadenza. Ma se non fai subito le foto sul luogo dell’incidente, chiedi i preventivi, per esempio, ti mancano degli elementi utili e fondamentali per chiedere il risarcimento all’assicurazione. Perché il problema cruciale è la ricostruzione dell’incidente. Nove automobilisti su dieci negano responsabilità.
Abbiamo notato anche che le stesse forze dell’ordine partono con dei pregiudizi nei confronti dei ciclisti. Ci è capitato di impugnare dei verbali alquanto fantasiosi. Ad esempio in un verbale avevano scritto: 'ciclista oscillante in mezzo alla strada', quando in realtà era stato investito mentre pedalava sulla destra, come aveva dichiarato la stessa investitrice. Noi seguiamo circa 300 casi all’anno e abbiamo oltre 110mila iscritti. Di questi 6mila che si sono iscritti online sul nostro sito. Ma il grosso arriva degli enti di promozione che garantiscono la tutela attraverso il tesserino, tipo la Federciclismo. Ci rivolgiamo a tutti i ciclisti, anche a quelli che vanno a prendere il pane o usano la bici per andare al lavoro. E poi chiaramente anche a quelli che la utilizzano per fare sport, per svago e per fare agonismo.
Come giudica il nuovo codice della strada in relazione alle esigenze dei ciclisti?
“Era partito bene. È una riforma nelle bozze da tanti anni. Ha sicuramente avuto un impulso forte a seguito della morte di Davide Rebellin nel 2022. Una notizia che ha colpito l’opinione pubblica. Partiva dall’articolo 148, quello riguardante il sorpasso. Rispetto al vecchio codice hanno inserito il metro e mezzo come misura minima. Salvo poi aggiungere 'ove le condizioni lo consentano'. Lasciando così uno spazio grigio di valutazione e interpretazione all’automobilista. L ’articolo vecchio, per assurdo, pur non imponendo il metro e mezzo dava maggiori garanzie al ciclista. Era forse più vago, perché costruito sulla base di concetti più che di dati. A questo punto la palla passa ai giudici e alle loro sentenze. Se loro, in caso di urto, riusciranno ad evidenziare che alla base dell’incidente c’è una distanza inferiore al metro e mezzo le cose potrebbero cambiare. L ’espressione 'sorpasso non cautelare' usata spesso nei casi di omicidio stradale potrebbe essere una chiave importante in tal senso. Io non voglio essere completamente negativo. Per questo dico che aver inserito la distanza è assolutamente una cosa positiva. Ora speriamo che l’automobilista si abitui a rispettarla”
La sicurezza stradale è una questione culturale?
“Assolutamente sì. Puoi mettere tutte le norme che vuoi ma senza una cultura ben definita non si va molto lontano. Sia chiaro. Non penso che la gente esca di casa per andare ad ammazzare chi gira in bici. Molto spesso la gente non ha la percezione di quello che fa. Non capisce che un’azione inconsulta può mettere a rischio una o più vite. Bisogna ricordare a tutti che i ciclisti, come ciascun essere umano, hanno diritto a stare sulla strada. Poi non dobbiamo dimenticare che il ciclismo ha un valore sociale e medico: andare in bici fa bene”.
Infatti in Italia stanno crescendo le ciclabili cittadine...
“Secondo me le ciclabili o le corsie ciclabili rappresentano una soluzione nelle città per la mobilità. Io abito a Milano, se vuoi andare in giro per via Senato in bici senza venire a contatto con le auto puoi farlo senza problemi. Il passo indietro che è stato fatto in tal senso è che il nuovo codice apre le corsie ai veicoli a motore, togliendo di fatto una zona franca, che - seppur poco - garantiva maggiore sicurezza”.
Il modello da seguire è quello spagnolo?
“Secondo me sì, sebbene anche loro non siano del tutto esenti dal problema. Soprattutto per turisti non proprio educati. Purtroppo abbiamo avuto alcuni casi di gente ubriaca al volante che ha investito dei ciclisti. Detto questo la Spagna è avanti parecchio sul tema della sicurezza stradale. Ma direi anche la Francia, che è un modello di rispetto delle regole”.
Secondo lei come bisognerebbe intervenire per migliorare la sutuazione in Italia?
“Questo è un codice che si aspettava da tanto tempo, ma resta deludente perché non dà un segnale forte di volontà di cambiamento per sensibilizzare le persone. Ma ci lavoreremo. Chiediamo sempre di essere invitati a un tavolo aperto con le istituzioni su incidenti e criticità per portare la nostra esperienza legale, che nasce dalla diretta procedura giuridica. Da un punto di vista prettamente giuridico avrei inserito una norma come quella che è stata appena istituita nel nuovo codice, aggiungendo però una presunzione di responsabilità a carico dell’automobilista ogni volta che un ciclista viene investito. E poi farei tante campagne sociali. Su chi sono i ciclisti, su cosa fanno sulla strada e sul diritto che hanno a stare per strada”
Intervista @SkySport
Fotografia @Ansa